Greener Grass
“Film da Masticare” è una rubrica a cura di Fabio Zanello – giornalista e critico cinematografico
Greener Grass (2019) di Jocelyn DeBoer e Dawn Luebbe
Perché ogni film che rientra nell’odontoiatria ci sembra talvolta surreale? Perché quando ci sono di mezzo dentisti ed odontoiatri il cinema sconfina spesso nel grottesco? Tante domande pure troppe. Resta il fatto che un film come Greener Grass si colloca in questo laboratorio di ibridazioni fra generi come il melodramma, l’eccesso e lo spaccato sociologico.
Un lungometraggio d’esordio ispirato proprio da un corto della DeBoer e Luebbe, assai acclamato in festival come il Sundance e Locarno resta ahinoi inedito nelle nostre sale, pur con tutti i suoi pregi. Ovvio che la vicenda surreale delle due amiche Jill e Lisa, interpretate dalle stesse registe, con la prima che regala alla seconda il suo neonato, fa deflagrare presto il racconto nella paranoia e nell’angoscia. La bizzarria della zona colorata e dalle villette a schiera dove risiedono le protagoniste, è che ogni adulto porta apparecchi odontotecnici sui denti dritti e lo stile di vita apparentemente perfettino degli abitanti, cela tensione implose. Un’altra fonte di ispirazione potrebbe essere il romanzo La fabbrica delle mogli di Ira Levin, dove i riti di una comunità impeccabile adombravano più ombre che luci.
Le due registe dimostrano indubbiamente una certa originalità e abilità nella costruzione delle psicologie femminili.
Le eroine femminili sono anche qui sempre più interessanti della controparte maschile. La Belle Epoque apocrifa delle borghesucce è declinata dunque in un senso della mostruosità latente, visto l’alto numero di macchinette per la dentatura, che puntellano la narrazione.
Il risultato è suggestivo, l’impatto vivido e potente.
La satira della borghesia americana tende infine all’universale e volti e storie così stilizzate acquistano dunque consistenza fisica, antropologica e affettiva.