Con l’autunno partiamo da un racconto dal titolo “Denti ” contenuto in una raccolta di uno scrittore lucano, Rocco Brindisi, intitolata “Il silenzio della neve” . Il libro viene pubblicato da Quiritta pubblica nel 2002 a cui fa seguito nel 2004 “Elena guarda il mare”, quest’ultimo selezionato al “Premio Strega” . Rocco Brindisi è nato e vive a Potenza , da genitori contadini, ha lavorato nella scuola, dove ha tenuto laboratori di linguaggio e di lettura ai bambini e ai ragazzi delle materne, delle elementari e delle medie. Dopo lunghi anni di nascosta quanto accurata elaborazione poetica (scrive versi dal 1973), Brindisi viene pubblicato dalla Einaudi, nel 1984, in “Nuovi poeti italiani” (n. 3), a cura di Walter Siti.Diversi suoi racconti sono stati pubblicati su “Il Manifesto”, “Linea d’ombra”, “Nuovi Argomenti”, “Paragone”, “Freibeuter” (Wagenbach) e su altre riviste letterarie. Pubblica due raccolte di poesie in dialetto lucano: nel 1986 “Rosa du pruatorie” (Rosa del Purgatorio) , con cui ha vinto il premio nazionale di poesia dialettale “Edoardo Firpo”, e nel 1990 “Carienn li nir da li ccagg” (Cadevano i nidi dalle acacie) Nel 1992 passa alla narrativa con: una raccolta di racconti, “Racconti liturgici” (Sestante); una rielaborazione in dialetto del “Woyzeck” di Büchner; tre racconti, inseriti nel volume curato da Gianni Celati “Narratori delle riserve” (Feltrinelli). Nel 2001 è stato inserito da Enzo Siciliano nella raccolta Mondadori “Il racconto italiano del Novecento” (collana «Meridiani»), con il racconto “La pietra”, un testo sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Mi piace ricordare un passaggio di uno scritto di Rocco Brindisi in cui cita la mia Tramutola raccontando di Gianni Celati : “Quella notte dormì in albergo. Venne a casa presto, facemmo colazione con i biscotti di Maria nel caffelatte. Poi, in macchina, verso il Volturino. A Marsicovetere, una bottega, il pane. Ma quando arrivammo a Tramutola erano le 2, il paese era deserto. Bussai a una casa a pianterreno e una donna sui quarant’anni mi diede un mezzo bicchiere di olio e un po’ di sale. Ci prestò un coltello per tagliare il pane. Quando mi girai, vidi Gianni guardare la donna come si guarda un racconto benevolo o il proprio sonno. Fui io a spartire il pane, a sfregare i pomodori, a versare l’olio. Pranzammo davanti a una antica fontana, sui gradini di una casa disabitata. Poi Gianni si allontanò e io mi appisolai col rumore del ruscello che scorreva accanto alla vasca dove andavano a lavare i panni. Quando mi risvegliai, cercai Gianni e lo trovai non lontano, seduto per terra, con il quadernetto aperto.Tornando a casa, là sulle montagne c’incantammo a guardare una ragazza che ci passò un po’ più sopra la testa col suo parapendio”. Ne “Il silenzio della neve ” sono contenute tante storie di desideri indicibili quelle contenute in questa raccolta di racconti : il vecchio che chiede al figlio di circondarlo di confetti, quando morirà, come si faceva un tempo con i bambini. Storie di tradimenti, dove l’uomo o la donna traditi si perdono in uno sgomento che non conosce amarezza, come in un nevicare lento dell’infanzia. Racconti di risate, tuoni, dolci clownerie, commozioni nei letti dell’amore; storie di canzoni ballate con i figli; film e libri che salvano dal risentimento. Racconti dove i gesti, gli oggetti, e quello che chiamiamo paesaggio sembrano sospesi in una inquietante, struggente esitazione.
Rubrica a cura di Fabio Zanello – giornalista e critico cinematografico
Non poteva cominciare meglio di così la carriera attoriale di Mario Carotenuto. Molto popolare presso il grosso pubblico per la sterminata filmografia di pellicole altalenanti fra il cinema d’autore (La spiaggia, La donna del giorno, Un eroe dei nostri tempi, Mio figlio Nerone, Poveri ma belli, Kean, genio e sregolatezza) e film dalla comicità di grana grossa (Il debito coniugale, I due assi del guantone, L’insegnante e La poliziotta fa carriera), l’attore romanosi è imposto come uno dei maggiori caratteristi del cinema postbellico.Corpulento, inforcavaocchiali da vista con le lenti spesse, era spesso sanguigno e fracassone,soverchiandoa voltecon lapresenza straripante della sua romanità schietta i divi e le dive di turno. Quindi personaggi come l’arricchito, il borghese destrorso, il popolano e il patriarca autoritario erano decisamente nelle sue corde.In Abbiamo vinto! (1951), secondo lungometraggio nella sua attività pluridecennale, diretto dal tedesco Robert Adolf Stemmle in trasferta italica, Carotenuto interpreta coraggiosamente undentista che esprime tutto il suo dissenso contro i sostenitoridel nazifascismo. Dettaglio non di poco conto, visto che il film è ambientato nel 1943, quando Roma era occupata dalla truppe di Hitler ed imperniato sulle disavventure di Augusto Fabriani, un pittore antifascista (Paolo Stoppa) che spende i risparmi di un amico, per mantenere la sua famiglia, fiaccata dalle privazioni della guerra. Per salvare la sua rispettabilità, il pittore fa credere all’amico che i fascisti e i nazisti hanno vinto la guerra, nonostante l’avanzata degli alleati fosse ormai irreversibile. Insomma ilsenso dell’onore, dell’amicizia e del sacrificio viene scalzato dalla furberia e dall’opportunismo in una sceneggiatura di Ruggero Maccari, futuro collaboratore di Ettore Scola, che crea un malinconico equilibrio fra dramma, storia e commedia. Carotenuto con la sua performance del dentista non si lascia sfuggire l’occasionedi mostrare anche in un film popolare come questo, quanto conti il realismo nelle scelte ideologiche del suo personaggio con un vero tocco d’artista.
Regia: Robert Adolf Stemmle
Cast: Paolo Stoppa, Walter Chiari, Mario Carotenuto, Camillo Pilotto, Antonella Lualdi
Rubrica a cura di Antonello Saiz – libraio e blogger
Il sorriso rubato, di Richard Barnett, pubblicato da Logos edizioni nel 2017, è il libro suggerito per il Mese di Agosto. Il sorriso rubato è un libro scritto nel solco della tradizione del giornalismo scientifico-divulgativo inglese, improntato alla chiarezza e alla freschezza espositiva e ripercorre in modo serio e argomentato, anche da un punto di vista culturale extra-odontoiatrico, la storia dell’odontoiatria per definire meglio la professionalità del dentista, raccontando una storia anche complessa in cui le prime rudimentali tecniche conservative dentali sono contemporanee (e in qualche caso precedono) l’acquisizione delle tecniche della trapanazione del cranio.
Il sorriso rubato racconta la storia dell’odontoiatria a partire dai rudimentali e strazianti tentativi dei primi cavadenti fino alle procedure agili e indolori di oggi, che sconfinano nell’ambito della chirurgia estetica. Illustrazioni spaventose e tuttavia affascinanti che raffigurano tecniche e strumenti sono affiancate da caricature e dipinti a tema, nonché dai volumi e reperti più rari dello straordinario archivio della Wellcome Collection di Londra, un museo che, attraverso attrezzature mediche e opere d’arte, indaga i rapporti tra medicina, vita e arte nel passato, presente e futuro. I testi chiari e coinvolgenti firmati dallo storico della medicina Richard Barnett ripercorrono gli sviluppi della figura e della pratica del dentista, un tempo ciarlatano e fenomeno da baraccone e oggi professionista altamente qualificato. Il libro mette inoltre in luce come la società abbia mutato atteggiamento nei confronti dell’odontoiatria, ormai deputata non tanto all’estrazione di denti marci quanto alla ricerca del sorriso perfetto.
Richard Barnett è uno scrittore e insegnante che collabora con radio e televisioni su tematiche riguardanti la storia culturale della scienza e della medicina. Terminati gli studi di medicina a Londra, si è votato alla storia e insegna nell’ambito del Pembroke-King’s Programme a Cambridge. Nel 2011 gli è stata conferita una delle prime Wellcome Trust Engagement Fellowships, e ha all’attivo diversi interventi alla televisione e alla radio nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Il suo primo libro, Medical London: City of Diseases, City of Cures, è stato nominato Libro della settimana da BBC Radio 4, mentre il successivo The Sick Rose è stato definito da Will Self “superbamente chiaro ed erudito”. Il suo ultimo libro è Interventi Cruciali.
Vieni avanti cretino (1982) di Luciano Salce a cura di Fabio Zanello
Rubrica a cura di Fabio Zanello – giornalista e critico cinematografico
Vieni avanti cretino (1982) segna ancora oggi lo zenit della comicità di Lino Banfi, che al servizio di un maestro del grottesco come Luciano Salce, da vita ad una serie di sketch, dove si fondono l’avanspettacolo, il ritmo dei cartoon, il dialetto pugliese fra invenzioni e idiomi tipicie soprattutto il qui pro quo, ormai entrati nell’immaginario collettivo. Fra queste scene, una di cui conserviamo tutti un ricordo indelebile è quella filmata nello studio dentistico, giocatainteramente sul qui pro quo, l’equivoco insomma. Pasquale Baudaffi (Banfi) appena scarcerato, è in cerca, dopo qualche anno di astinenza, di una compagnia femminile e si reca in un alloggio, dove una volta c’era un bordello. Peccato che Pasquale ignori che nel frattempo il locale sia stato trasformato in studio dentistico e così quando in sala d’aspetto lui e un altro paziente s’incrociano, gli effetti saranno esilaranti. Inoltre l’atmosfera sembra non essere mutata, perchésulle pareti restano stampe erotiche con disappunto della dentista e l’assistente di poltrona è decisamente attraente e disponibile. Quando lei entra nel discorso delle otturazioni, Pasquale ne richiede almeno cinque e la ragazza lo informa di aver visto denti di tutte le forme: a imbuto, a falce, a martello (“tipo Berlinguer! replica Baudaffi per amore del politicamente scorretto), corti e lunghi. Nella sala d’aspetto l’equivoco giunge all’apoteosi, quando l’altro cliente racconta ad un attonito Pasquale di portare lì il suo bambino di 8 anni, di avere il dente pieno di pus e che una volta che si saranno seduti sulla poltrona, la titolare “lo strappa a tutti.” Fra giochi linguistici (l’ingegnere gli chiede “è devitalizzato” e Pasquale ribatte “è vitalizzato eccome”), doppi sensi e incomprensioni(sempre Pasquale precisa “l’arcata va bene, la spinta pure”) un indignato Banfi abbandona lo studio con un monito per la dentista e l’interlocutore:“Aspetto che mi casca nella vecchiaia!” Particolare non trascurabile, lo sceneggiatore Roberto Leoni raccontò un aneddoto, dove mentre si trovava dal dentista, l’assistente del dottore lo martellò con le battute della gag in questione durante un intervento.
Rubrica a cura di Antonello Saiz – libraio e blogger
Alla Radice di Miika Nousiainen, Iperborea è il libro scelto per il mese di Luglio. Tutti odiano andare dal dentista, eppure è proprio da una visita sulla temuta poltrona odontoiatrica che Pekka ha scoperto di avere un fratello maggiore e una sorella, un’altra sorella e un’altra ancora. Questa è la storia di un abbandono, commovente e spassosa, che il finlandese Miika Nousiainen ci racconta nel suo Alla radice, pubblicato in Italia da una casa editrice indipendente esperta di letteratura del Nord Europa, Iperborea, nella traduzione di Marcello Ganassini. Un romanzo che si divora in pochissimo tempo e che risulta essere anche una piacevolissima lettura intelligente ed estiva da ombrellone . Alla radice è un romanzo che scalda il cuore, un racconto on the road bizzarro commovente e spesso esilarante (nella miglior tradizione dell’umorismo finlandese) che fa riflettere sulle origini, sull’identità e soprattutto sul mal di denti. Solo il cognome, Kirnuvaara, sembra accomunare Pekka, vittima di un cronico mal di denti, e il suo nuovo dentista Esko. Pekka è uno spigliato, sensibile e moderno copywriter di mezz’età che non ha mai superato l’abbandono da parte del padre e che ora, con il fallimento del suo matrimonio e una disputa in corso sull’affidamento dei figli, vede infrangersi il suo ideale di famiglia perfetta. Esko, che ha quasi sessant’anni, ha invece preso spunto dai freddi genitori adottivi per elevare l’odontoiatria a filosofia di vita e praticare l’anestesia anche su emozioni e sentimenti. Ma con lo scavo nelle radici dentali di Pekka emergono ben altre, e condivise, radici: dietro lo stesso cognome, si scopre, c’è lo stesso padre. Dopo qualche trapanatura e le prime inevitabili, buffe incomprensioni, la corazza di Esko s’incrina e l’improbabile coppia di fratelli si mette sulle poche tracce che ha di lui, sperando di trovare una buona ragione per una doppia negazione d’amore paterno. Nasce così, in un asettico studio dentistico di Helsinki, una storia on the road calda e coinvolgente, dove ogni tappa verso lo svelamento finale arricchisce la famiglia Kirnuvaara di nuovi, sorprendenti parenti, formando un variopinto amalgama multietnico. Tra incontri e scontri di personalità, siamo scorrazzati dalla Carelia del Nord alle degradate periferie di Södertälje in Svezia, dalla Thailandia, con il suo deteriore turismo, ai grandi spazi dell’outback australiano, sacri agli aborigeni: un viaggio di conoscenza – di sé e del diverso da sé, oltre che del concetto di paternità – che si farebbe quasi iniziatico, se non fosse per le esplosioni di un’insopprimibile verve comica degna della migliore tradizione umoristica finlandese.
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